I figli crescono come gli alberi, la loro linfa è in fondo nascosta, i cerchi si fanno ad anelli secondo leggi che non possiamo imporre
Un buon posto
Vale la pena capacitarci che non siamo capaci di tutto. Dobbiamo scendere a patti con la verità che la nostra onnipotenza non solo non esiste, ma nemmeno servirebbe: ogni figlio è della vita, non della madre.
L’asilo è un buon posto, dove impararlo. Dove iniziare a rinunciare a qualcuno dei loro omaggi, dei loro abbracci, delle loro, accese, novità.
Eppure sei tu
Una madre fa questo, perde il ricordo dei suoi primi giorni e lascia arrivare quelli dei figli. Poi si ferma, dopo le folle, il da farsi, in qualche svolta: e si accorge d’improvviso che sono passati cinque anni.
Non c’è ragione valida, oltre le ragioni fisiche, oltre la scienza del corpo e del tempo. Eppure sei tu. Sempre tu. E io – in fondo – sono io, tuo padre accanto, voi tutti solo molto più alti di cinque anni fa, il cortile diverso da allora.
Indispensabile
Quando qualcuno come un figlio ci nasce dentro, riesuma un’antica memoria, un bisogno di sempre. Di appartenere. Di sentirci indispensabili
Madre e figlio
È lei, a toccarlo. Si sporge in piccoli gesti cauti sulla scusa di un cellulare, stanno guardando qualcosa da comprare, una moto, un’automobile. È bella anche rossa, dice lui. Lei tocca un ginocchio con le dita, la sua gamba col gomito.
È stata lei a insistere: – Ti accompagno.
– No, ma’. Lascia stare.
– Ma sì, mi fa piacere.
Stamattina s’è messa il vestito buono, quest’abito color cipria che scende senza il disturbo d’un corpo impreciso. È arrivata sotto casa sua come una fidanzata.
Smalti
Come per molte altre cose gli inizi furono timidi, uno smalto rosa tenue, uno trasparente. Lo stesso di certi reggiseni che acquistavo invariabilmente privi di pizzo e virginali per non accusare sensi di colpa riflessi dalla mia madre interiore (faccio notare che stavo per digitare inferiore: non so se nel senso delle parti basse o di livello di stima).
Dove cominciano i figli?
Mia madre ci teneva due mesi secchi qui in montagna: sì, proprio dove siamo adesso, in questo paesino che si veniva su gli ultimi di giugno. Capitava che era il 29, me lo ricordo perché è il suo onomastico. Le donne gonfie dei covoni di fieno, noi bimbi muti per quattro ore di viaggio, le canzoncine, i cracker sui sedili. Avremo rotto i coglioni come li rompono tutti i bambini, immagino. Però arrivavamo e io mica mi ricordo una sola voce alzata, un pianto: io mi ricordo le donne e i covoni.
L’amore è spostamenti
L’amore si sposta. Lo penso stamane, il frullare di ali e non sono mai loro: le tortore coi piccoli devono aver traslocato dal nostro Red Robin, ad ogni franco fruscio le cerco, ma vedo un piccione, un merlo, pennuti qualunque, senza significato.
Mathias è lontano. Spostato anche lui.
Non credere mai che non ti ami
Sbufferò come sbuffano tutte le madri: per ragioni valide e altre invalide. Dimenticando che ciò che più invalido è la tua fiducia. Ma tu non credere mai che non ti ami.
Non crederlo quando sbaglierò faccia. E sbaglierò risposta. Quando spenderò un mucchio enorme di parole per dirti un solo no. Quando invece tacerò il solo sì che avresti voluto.
La delusione delle madri
Ti prendi un attimo: – Lasciatemi un secondo. Devo calmarmi.
Non puoi mica dirglielo, che sei delusa
I bisogni dei figli
Quando la sera leggo un libro a Patrick gli prendo la mano. Non lo faccio apposta, né lo faccio spontaneamente. È un gesto che viene, zoppicando.
“Tu hai paura che la rifiuti. Invece magari ne ha una voglia matta – mi dico. – Che ne sai, dei bisogni di Patrick, dei tuoi figli? Conosci a malapena i tuoi.”
Una stanza per crescere
I BUCHI DEL CUORE PER LE MIE SOLITE NOSTALGIE LI STUCCO CON L’IMPAZIENZA
Mancano le ultime cose, domattina sposteremo i letti e arriveranno i mobili nuovi.
Ci vuole solo un po’ di più
Quando Mathias finisce le ferie mi succede una cosa strana. Forse mi sono debilitata, forse mi sono fatta troppo le mie cose, ho perso la mano: ho paura. Di loro, dei miei figli. Quasi. Di non saperli gestire. Ora che non ho più bimbi da cullare al seno, da tenere in braccio, bebè che un bacio è tutto.
I conigli dormono ancora
Sarà la più entusiasta, al mattino, quella che si scompone di luminosa, disordinata meraviglia. Sarah però dondolava in un sorriso beato accanto al piatto vuoto del vecchio canuto: – Isa guarda… Babbo Natale ha mangiato tutto! – Credo che in quel fare – fiero – da sorella maggiore, le fosse rimasto un piccolo dubbio, come un ultimo quarto di luna.
Le tre tappe di Babbo Natale
E mentre t’ingegni per illustrare la fiaba di Babbo Natale prima, e per salvaguardarla poi (e, infine, per rimpiangerla), ti accorgi che, bene o male, non puoi sfuggire nemmeno in quest’occasione alle grandi tappe della vita.
Normalmente il Natale ne ha tre:
1. Ti riempio di cose e non te ne frega niente: meglio nota come la fase della gratuità. L’infante è un essere ancora morfologicamente confuso, mezzo mescolato alla tetta, lievemente informe, attraversa le feste nella più totale ignoranza
Voglio essere il tuo primo numero di telefono
Voglio essere il tuo primo numero di telefono, in cima alla lista. Voglio essere il bello di restare a casa. Voglio essere il gusto della cioccolata a merenda, le gambe intrecciate sul nostro divano.
In the middle of nowhere: l’età pensante dei figli
Poi arrivano i terrible two, la fase in cui cominciano a ritagliarsi un posto, a provare i confini. I terrible three, terrible four, terrible five. E vi lascio continuare la lista.
Ecco un piccolo compendio di situazioni nelle quali si esplica l’unica cosa davvero terrible (che non sono loro, né la loro età, ma la verità di esseri pensanti), a titolo di sfogo personale, di condivisione con le mie pari, nonché bussola per quelle madri che ancora navigano nel mare incontaminato della prima simbiosi:
Piccoli passi
Ogni giorno vedo il buio che avanza, queste mattine sono sempre più timide, si accendono le luci prima ancora di uscire dalla stanza, non trovi le ciabatte, non becchi al volo la maniglia della porta. Ogni mattina vedo il buio che avanza e so che non cammineremo più.
Fino a qui
Basteranno poche settimane, e sarà così ovvia la nuova vita, ripenserò a quando era altrettanto naturale averti in canottiera per casa e mi sembrerà impossibile.
Vuoi che ti dica che non importa, che quello che abbiamo vissuto ci ha costruite, che resta intessuto nei nostri cuori? Resta. Rimane. Il sapore vago, le energie che abbiamo accumulato, la spinta che ci ha nutrite. È grazie a quello, che siamo arrivate fino a qui. Tutto il resto, però, sfuma. Dimenticare è il prezzo dell’adattamento.
Qualcosa
Tieni una cosa che ti renda riconoscibile, mentre cresci.
Un dettaglio che rimanga, identico, negli anni. Uno dei tuoi boccoli, ad esempio. Che non sia stirato dalle cose comuni.
Tieni qualcosa di adesso, per quando sarai una ragazza, per ogni giorno che ti conosco da capo e vorrei un capo di questo filo, un segno
Sei partito
Buon viaggio, piccolo stambecco.
Mi sono alzata per salutarti prima che papà ti portasse là fuori, su quei gradini sciacquati dal sole. Parti felice, non sai lavarti bene i capelli da solo, anche coi lacci degli scarponcini sei piuttosto impastato, ma esci leggero, un pacchettino di cracker in tasca, esci più forte di qualche dubbio, più forte di noi, lasci questa casa e queste cose come sono rimaste: tua sorella è tornata dall’ospedale, non è cambiato niente, percorriamo lo stesso filo che ci tiene su a fatica.
Tu. (Mi mancherai)
Diventiamo noi, talmente, ogni mattina quando il sole dentella il muro qui fuori. Quando ti prendo e gli altri sono già andati. Diventiamo due, e invece di sciogliere così la presa, attecchiamo in quest’epoca come piante buone. Non più una nell’altra: accanto.
Sei talmente tu, adesso, che questa casa sarà talmente senza.
Guardando. Ai miei figli
Ti guardo e so: ce la farai, nella vita.
Certe persone ci nascono, con quella levità che altri per una vita intera rincorrono in nostalgie vaghe.
Sei una stanza dove è sempre mattino, sempre l’odore buono di una finestra appena aperta, e quei torrenti di sole. Non ho paure per te, Sarah.
Il controviaggio della maternità
RITORNARE, POI, RIPROVARE LE DIVISE ACCANTONATE: È UN ALTRO VIAGGIO
Noi molliamo tutto per un viaggio.
Chiamato “figlio”.
Lo allattiamo, lo culliamo, lo interpretiamo. Accatastiamo, da un lato della stanza, le nostre vecchie divise.
Perché quando la giostra parte tu puoi fare due cose: ostinarti a salvaguardare un cencio della tua vita. A non farti corrodere.
Oppure: puoi salire e girare, nella meraviglia centrifuga della maternità.
Quando un figlio cresce
Da otto anni porto con me i miei figli. Ogni volta che esco me li carico tutti e tre. Ogni volta che uno è malato chiamo qualcuno che vada a prendere gli altri a scuola. O qualcuno che resti con lui a casa.
Il giorno in cui cominci a ragionare per te, uscire chiedendo chi vuole venire. Quel giorno sembra quasi innaturale, è un’incredibile rivoluzione
Essere madre è roba per stomaci forti
E perché si chiami Madre Natura, che non ha mente, che non ha cuore, nessuno lo sa. Perché la fregatura è questa: che lei c’ha solo l’istinto.
Siamo noi le madri, quelle in bilico. Ci teniamo il neonato addosso per l’animale che è, i primi tempi. Poi la legge naturale non basta più. Sono di colpo persone, cervelli, relazioni. Il cucciolo è programmato per lasciare la madre, solo che a noi ci frega il cuore.
Se un giorno
Tornerai, qua e là. Verrai a Natale. Un compleanno, un anniversario. I tuoi figli con te, tua moglie. Oppure nessuno.
Sarai felice di vedere me e tuo padre. A volte, può darsi, ti costerà fatica.
Lo dico adesso, che sono forte e sicura. Lo dico ora, che sei facile argilla, ancora, e io spavalda: se un giorno, seduto con me, il tavolino basso in qualche salotto, una donna anziana al posto mio. Se un giorno dovessi sentirti a disagio con me… non risparmiarmi, figlio mio. Non mettermi in un canto delle tue ragioni