– Neanche a te piacciono molto gli psicologi?
– Non è che non mi piacciono, è che arrivano troppo grossi.
Tuttavia
Vedi il fatto è che io una volta mi svaccavo sulle panchine, la musica pigiata nelle orecchie, la gente mi guardava, ma me lo potevo permettere. Abbandonata e stesa come un barbone, mi guardavo il cielo, ed era meglio che guardarsi dentro. Alla fine dentro ci vedevi meglio, capovolta così. Una volta potevo essere randagia, sovversiva, fare a pugni. Stravaccarmi. Adesso sono una signora di mezza età, mica basta un piercing al naso a darmi il beneficio della panchina. Adesso che faccio, quando la vita mi sputa addosso?
Le madri piangono
Le madri piangono perché amano tanto da non sapere più altro. Perché dimenticare tutto è delizioso, perché dimenticare tutto fa paura.
Piangono accoccolate col loro neonato che null’altro è necessario. Piangono perché sono sole.
Piangono senza farsi vedere, senza dirlo a nessuno. Inventano luci e notizie, passano un dito sotto la palpebra, tamponano linee di matita che cola.
Il senso di piangere
Piangere è una buona cura.
Lo sanno i folli, i vecchi, i bambini. Le donne incinte che ballano negli ormoni in tempesta. Lo sa il neonato che la natura l’ha fatto così. Perché se sorride per chiamare sua madre e quella sta guardando fuori dalla finestra: se arriva il marito, se arriva l’amica, la sera. Se spiove. Chi si accorge di lui?
Piangere è una cosa seria.
Anche se sembra un’idiozia, un capriccio. O una reazione chimica, molecole d’acqua e sale.
Lo sa chi ti ha visto quella volta. Chi ha capito
Grandi spazi e minuscole ferite
Ti siedi lì, e la solitudine si mette a ballare. Non se ne va: quasi si amplifica, diresti, sotto quelle vertigini. Invece ti si accoccola in grembo e, coi minuti, si ritira, ti si infila in tasca. E tutti quelli che hai intorno sono uomini ognuno con la sua piccola scorta di cuori e silenzi nelle tasche, nelle mani, nei piedi su quei grandi scalini. Sei parte di un tutto.
Avevo dimenticato le proporzioni degli spazi aperti, gli infiniti urbani.
Raccontarsi
PENSA COME SAREBBE SEMPLICE: NON VERGOGNARTI MAI DI QUELLO CHE SENTI
Le hanno fatto una corona. Non è il suo compleanno, non è il compleanno di nessuno. Una corona di cartone, con le facce sopra.
Sarah me lo dice sdraiate sul letto, lei ed io. Io e lei che in un attimo mangiamo chilometri di silenzi. Non credevo fosse così facile. Me l’avessero detto, keep calm and lay down, non mi sarei scaldata tanto, tante volte.
Allora siamo lì, tutte e due dalla stessa parte, però al contrario
Abituarsi alla luce
…Ci vuole pazienza, quella del neonato che ancora non vede, distingue appena le luci, le ombre. Quella del corpo che riprende la sua forma originaria. Quella del seno che fiorisce, trovare il latte, attaccare la piccola, cercarsi. Quella dei miei occhi, come i suoi, che piano piano iniziano a vedere. Ad abituarsi alla luce nuova: accecante nel suo fulgore, madre di ombre profonde, insieme…
Digressione
Essere incinta: piangere tre volte in cinque minuti per una canzone. Per giunta di Britney Spears.