Bisogna accettare che la scomodità che sentiamo è inevitabile. Chi la mette nel fare, chi nel dire, chi nel nulla. Si riesce, in questi giorni, a stare scomodi anche sdraiati su un divano. Scomodi anche in sé stessi. Le battaglie che facciamo fuori rispondono al senso di responsabilità ma anche al bisogno di controllo, di sentire che abbiamo ancora una voce, un potere. Che esistiamo. È umano. Siamo mosche impazzite. È umano anche questo
Cuori in cattività
L’altra abominevole menzogna è che i bambini sono solo contenti di questa quarantena: «Finalmente possono godersi la famiglia, la mamma, la casa, e dormire».
Parole di questo tipo hanno in sé una ingenuità, una mancanza di rispetto e una cecità ai limiti della violenza.
Se voi pensate che i bambini siano soprammobili.
Se voi pensate che siano peluche.
Se voi pensate che siano animali da compagnia.
O piante cui basta cambiare l’acqua.
Un bambino non è stupido: lo capisce, quando la fiaba del «vissero tutti felici e contenti» non regge più.
Gente comune
Vedi queste persone comuni, queste semi autorità che di solito dimentichi avere una vita oltre le aule in cartongesso.
Adesso pare tutto naufragato al largo di un mare che ci ha presi.
Adesso vedi le cucine, le sale, le credenze in arte povera, di questi docenti che improvvisamente diventano persone, donne, casalinghe. Madri.
Non è vero che i genitori devono essere «sereni»
I bambini hanno bisogno di verità, non di fantocci. Hanno bisogno di saperci «ampie», non «serene»: ampie vuol dire con uno spazio e una solidità flessuosa dove tutto è possibile, dove tutto trova dimora, perché la mamma è il porto dove poter tornare sempre e sapere di essere perfetti così come sono
Da #iorestoacasa a #iononesisto
Io oggi interrogo la quarantena, e certamente dissento dai modi. Tutti. A partire dalla mancanza di informazioni chiare, dall’esclusione in toto dei bambini dai piani di emergenza, da una scuola lasciata a sé stessa, famiglie lasciate a sé stesse, persone con problemi lasciate a sé stesse.
La civiltà di uno stato non si giudica solo dalle vite salvate grazie alla nostra obbedienza cieca per rispondere a un cataclisma e ai tagli fatti sulla sanità.
«Qui c’è il pianeta Terra»
Sto lavorando a un romanzo. Bisogna che mi ci metta prima di aprire i social, di collegarmi al mondo.
Di solito mi alzo, faccio colazione, mi assicuro che i figli siano bravi. Il telefono è una custodia che dorme, sul banco della cucina. Se compio l’errore di guardare Facebook, se ho lasciato Chrome aperto, i suoi tab come quelle file di lenzuola ai balconi, allora poi non entro più nel testo.
Stamattina è stato difficile. Avevo sognato Patrick vicino al portone del condominio. Non lo varcava, stava lì, guardava oltre il vetro: «Qui c’è il pianeta Terra».
Un giorno sarà sabato
Accenderai i social e troverai gite fuori porta, foto che superano il lavello stanco delle stoviglie, e i collage dei figli come se fosse un inverno interminabile. Chiusi nelle cucine, nelle cucce inventate sopra i letti. Nelle tende che lavi perché hai tempo. Nei divani spostati per darti l’illusione di aver cambiato ambiente.
Ti prometto: un giorno sarà sabato.
E di noi, chi si cura?
Un piano d’emergenza è, per antonomasia, un piano non pianificato: misure senza misura, improvvisate. Ma nel tempo bisognava cominciare a progettare la quarantena. Invece ci si arrangia. Ci autogestiamo, ci diamo consigli fai da te su WhatsApp, creiamo gruppi Facebook, e in quei gruppi chiamiamo psicologi volontari
Batticuori
Avrei preferito stare su piani più vicini al cuore, a quel battere che non è battibecchi.
Per non averci aspettato
Non riesco a perdonare la primavera per non averci aspettato.
Non so quale sia il dolore maggiore: se la primavera senza noi, quello che perdiamo fuori, o il dolore di stare chiusi. O la preoccupazione per i figli e quello che patiscono, o tutta questa sciagura, le vite che se ne vanno, la colpa di non averle benedette, di averle piante poco oppure troppo.
I bambini cercano di non dare disturbo
Lei si ferma, la bocca le fa un arco che cade, cade il mento, cadono le braccia. Immobile.
– Non riesco…
Sembra rotta.
E in un momento si ferma tutto, anche il bagno, anche il fiato. Allora la prendo, mi scuso con sua sorella, esco un momento.
Siamo sul dondolo in camera mia. Potrei raccontarvi di mille volte che sclero. Potrei dirvi di mille e uno cose che noi mamme, tutte – mica solo io – ci ingegniamo a fare. E anche i papà. Ma oggi voglio dirvi che i bambini soffrono. Chi prima, chi dopo.
Milioni di individui vivono una clausura impegnativa, e nessuno la racconta
«Meglio così che malati, io mi tengo stretti questi giorni». Tutti hanno questo timore reverenziale, che se ti lamenti di stare in casa poi viene la morte e ti bracca. Poi toccherà a te.
Le case di tutti
Ho avuto paura che se lo fosse rotto. Fai pensieri che non fai di solito. Se è rotto non possiamo portarti al pronto soccorso. Lo penso, non lo dico. Guardo: «Meno male, è il mignolo». Quasi a significare che allora anche se ne perdesse l’uso, non sarebbe grave. A che serve, un mignolo? Non avresti mai creduto di scartare un dito, dall’indispensabilità delle cose.
Lasciatemi fare
Il dolore si arrampica come uno scarafaggio. Te ne liberi solo se lo prendi, non se lo ignori. Te ne liberi solo perché sei più grande di lui
Domenica mattina
Non sarà valso a nulla, uscire da tutta questa storia come prima.
Non sarà valso a nulla dire: «Ne sono uscito più forte».
Non stiamo cercando di rinforzare le difese: la sfida è opposta, è lasciarle cadere. Smettere di indurirci. Diventare leggeri e onesti a noi stessi
Abbiate cura
Se la parola «divieto» vi fa paura, sostituitela con «responsabilità».
Se la parola «responsabilità» vi opprime, sostituitela con «cura».
«Cura» non nel senso medico del termine ma di «take care»: prendersi cura, accudire.
Abbiamo deciso di restare
Cambia tutto, adesso che decidi di restare. Carichi una lavatrice, addestri i figli: – Bambini, da oggi regole. E disciplina.
Passi l’aspirapolvere su ogni lisca del parquet, sbatti i tappeti, quei giochi e cannucce zoppe a spasso per il soggiorno non ti sembrano più possibili. Vai a fare la spesa, trovi scaffali già derubati dall’ansia. Anche qui. Prendi possesso dei giorni. Sali su quest’occasione