C’è un motivo, se odio l’inverno. Se penso a quando ero ragazza e non c’era differenza tra le stagioni… Ho ricordi di minigonne vertiginose, di quelle che zittivano mia madre e la condensavano tutta in un labbro scettico. Ho ricordo di discoteche e superalcolici, i soli che apprezzassi: un po’ perché non mi piace la birra (e nemmeno il vino), un po’ perché avevo fretta di stortarmi. Così uscivo quasi digiuna, per cena un mestolo di zuppa
Sotto le antenne natalizie di un cerchietto rosso
Pensavo di non piangere. Sono venuta qui spuntando sulla lista: recita Patrick, fatto. Invece ti ci piglia dentro, sempre. La penombra, la musica, la solennità che è come essere in chiesa. Io sto piantata come una colonna, sembra quasi un funerale, sto seria perché sono tutta compressa, se vedi che non sorrido è solo perché mi tengo composta. Impegnata.
Non sono le canzoni a commuovermi
Quando cominciano a uscire, uno a uno. Prendere posto dove sapevano. Uno a uno. Guardare davanti, senza distrazioni, solo un ammiccare svelto e fugace al genitore e poi via, concentrati, attenti. Con la dedizione che sfratta ogni altro pensiero, tutti versati dentro a questo spettacolo, alla sua riuscita: questo è il miracolo.
Un mondo di bene
Orde di genitori ammassati all’ingresso. Poi dentro, a spingere per accaparrarsi un posto in prima fila. Ci siamo anche noi, la macchina fotografica, la videocamera, l’eccitazione che miagola impaziente.
Loro sono già pronti, seduti sul palco, le maglie rosse, i jeans e il berretto rosso di Natale in testa.
Le luci sono già basse, i genitori sono meno disciplinati dei figli, chiacchierano, si scompongono per lo scatto perfetto, i flash spezzano la penombra.
E in un sussurro della maestra che dirige il coro, il concerto comincia…