QUESTO RIMANE IL LUOGO DI FIGLIA E DI MADRE. SFACCIATAMENTE BELLO, AGLI OCCHI DI ENTRAMBE.
Va bene, dai.
Non ho ancora pulito il tavolo, ma che vacanza sarebbe se dovessi attenermi all’ordine stabilito delle cose? E poi: stabilito da chi?
In questi giorni i vestiti dei bambini hanno raggiunto incerte proporzioni di ammassi informi, e non solo sulle sedie al fondo della camera. A volte penso che tutto sommato l’ordine fa rima con fine. Fine dei giochi, della vitalità, del riso. Perché anche ridere, in fondo, sconquassa un po’ il respiro. Sì, vero, anche il pianto, il singhiozzo. Ma insomma: sono i disordini, quelli che vivono. Davanti a tutto. Che dettano il ritmo.
Pensavo meglio. Lo dico. Lo sputo qui sull’ultimo balcone. Stamattina guardavo quel cielo sempre un po’ beffeggiato da qualche improperio di nubi. Le unghiate degli aeroplani. Va bene essere anche così, basta che oltre c’è quel grande grembo che il vento poi ci soffia dentro e tira via i fili degli aeroplani, li riannoda da dove sono venuti, e butta via i cotoni delle nubi. Quattro giorni forse erano fin pochi. Così non ho fatto in tempo a incazzarmi per il clima, ho preso i calzoncini corti dall’armadio, ho infilato quelli lunghi, e poi ho rimesso i corti nell’armadio. Per il solo gusto del gesto, per dire che li avevo portati per qualcosa. Però non ho nemmeno mollato tutta quella zavorra che credevo, in mezzo ai prati alti, nelle gioie che, pure, ci sono state.
Mi siedo qui, sul bordo di questo divano, le valigie affamate nelle altre stanze, e nonostante tutto mi arriva quella cosa che arriva sempre quando chiudi: tutto si arrotonda.
Stasera eravamo al parco giochi, perché dove puoi andare a zigzagare tra le ultime gocce di pioggia, nelle ultime ore? Pensavo che sono tre anni che non ci venivamo: ogni volta stavamo almeno otto giorni, poi il maltempo mi faceva passare la voglia, e così non siamo più venuti. Smetti: anche se è amore. Lo lasci lì, sei delusa, ne fai a meno.
Forse è proprio quello, l’amore, quello che comincia quando tu hai finito.
Me ne riparto con nove estati da ragazza, con le straducole che facevo allora, che facciamo ogni volta, quelle che ci hanno visti figlio dopo figlio, e quelle che non abbiamo fatto in tempo. Con le foto che sono sempre troppe e poi mi prende l’ansia di questi supporti digitali che dicono che mica durano come quei bei rullini di un tempo. Ma tanto anche Erlacher, il fotografo dove portavo i miei, non c’è più da un pezzo. Hanno messo negozi di sport e cazzate altoatesine, e i campi da tennis delle nostre mattine in braghette Australian sono un prato scuoiato. Il panettiere l’hanno spostato, e quei pani dolci che mia madre ci faceva trovare a colazione non li ho più visti.
Ma è sempre quel posto, la signora del super è sempre lei, era vecchia e vecchia è ancora, la stessa luce che dondola nella sera, quella pazienza nei colli che manca alle Alpi.
È sempre quel posto, che poi cresci e dici me ne vado, sempre con qualche ragazzetto a obbedire al mare. E poi torni, torni a obbedire a te stessa. A questo luogo di figlia e di madre. Sfacciatamente bello, agli occhi di entrambe.
Mi resta il famoso minibasket al pomodoro, il lancio nelle fauci di Mathias, l’altro giorno al fiume: uno di quei piccoli sussulti che scoppia la bomba di una gioia scema e si rinasce tutti. La signora crucca che viene in casa all’ennesima zuffa: “Io sentire pampina che strilla per pipì. Non andare pene. Troppo rumore. Poi sentito pampino che gridare daiii! per tutto. Neanche qvesto andare pene. E poi mamma gridare troppo. E poi c’è pimpa che non vuole antipiotico. Io sento troppi lamenti, io chiamare polizei.” Logicamente di mia invenzione. Isabelle non la lasciava più andare via. E si rideva, di quei risi che sono sali da bagno. Decongestionano, liberano le vie aeree. E pure le arterie. L’indovinello di stasera: giuro che le mie ciabatte e il formaggio Alta Badia hanno lo stesso odore. Li testo sui figli che si chiudono gli occhi. Sarah ha azzeccato solo perché sbirciava. Patrick non è riuscito a indovinare. E i soffioni che sono bacchette magiche, basta agitarle e diventiamo tutte principesse.
Va bene, dai.
Ho quella valigia, di là. Pensavo: forse è colpa delle valigie, forse basterebbe non disfarle, così non dovresti rifarle e avere quel piccolo moccio del ritorno.
Forse quella zip che chiude è tutto quello che ti serve: per sentire il buono.
Commenti 11
Anche io le valige le sto per chiudere, ma per ora per partire e anche se non vado in un luogo del cuore sono emozionata lo stesso!! Tu brava come sempre.
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E’ vero… che invidia! Tu dirai: “Ma se sei appena stata in vacanza”. Ma abbiamo troppe grane, ho bisogno di un fermo. Buon mare, spero di avere qualche vostra notizia :*
Che bello leggere i tuoi racconti, mi perdo nelle tue parole mentre addento la pizza scaldata di ieri. Tocca fare qualche altro giorno di vacanza, comunque.
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Sì, questo era solo l’antipastino! Avete festeggiato la piccola? :*
Si, una prima festicciola tra di noi 🙂 domenica replichiamo con parenti e amici.
Ma dopo un post un pò malinconico i commenti mi sembrano più gioiosi! Chi parte, chi torna, chi festeggia…A me basta trovare il tempo per leggervi e sentirmi così meno sola e più serena. L’era digitale mi piace anche per questo.
Buone cose a tutte!
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Spero di riprendere altitudine anche io, presto… siamo un un periodo abbastanza impegnativo 🙁 Grazie, non sei sola, hai ragione in questo il web è una grande risorsa.
La signora crucca è fantastica! Ma come ti vengono? Amo!
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Di fronte alle sfide dei figli o sclero o creo. Qui è andata bene :p Grazie :*
Confesso che ho rivissuto emozioni che credevo sopite. Andavo in vacanza in Austria con i miei, da adolescente.
Mi piaceva ma lo odiavo.
Ora mi manca. Era bello davvero.
E so che se tornassi tornerebbe anche il rapporto di amore e odio!
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Che bella confidenza Silvia… perché la odiavi? Dovresti provare a tornarci, oppure provare l’Alto Adige (munita di ombrello 😉 )