UNA SCUOLA CHE RISOLVE IL PROBLEMA DELLA DISCIPLINA NEI BAGNI ELIMINANDO IL SAPONE. DELLA CARTA SROTOLATA ELIMINANDO LA CARTA. DEI LAVORI ALL’ESTERNO ELIMINANDO LE USCITE. E DELLE COMUNICAZIONI “SPIACEVOLI” RIDUCENDO AL SILENZIO.
La Signorina S. confabula al parco giochi. Qualche genitore, classi diverse da quella di suo figlio.
“Tu non hai letto la lettera di C. al fondo dei quaderni? Pare che se ne vada.”
Il giorno delle pagelle (che ormai si chiamano “schede”) siamo entrati uno a uno, o due a due – nel caso di genitori in coppia, come noi – : “Buonasera”, stretta di mano, le due maestre sorridono. Niente da dire, Patrick è bravo, file di 10 campeggiano ordinate come truppe, in mezzo si nasconde un solo 9 in educazione all’immagine, che non sia un Picasso l’avevamo intuito.
C. nel suo vestito salmone, le zeppe che la slanciano. Io una maglietta che non fa onore a quei bei voti.
D’altronde, per quanto ligi, non siamo mai stati genitori modello: alle assenze del figlio non mi premuro di chiedere i compiti, non mi sembra sia il caso, per un giorno mancato in prima elementare. Alle verifiche ho iniziato ad apporre apposita firma di quietanza solo dopo innumerevoli insistenze che non credevo mi riguardassero, e dopo aver imparato la debita differenza tra esercizi in classe e verifiche: per chi non lo sapesse queste ultime si contraddistinguono per il voto espresso in cifre. Se c’è il numero, devi firmare.
Al primo giorno di scuola mio figlio era l’unico senza il grembiule: in una nuvola nera di ometti il suo golfino grigio perla si stagliava come un errore, una specie di pecora nera al contrario.
Non sono mai tra le prime che aspettano al cancello e, posso giurare, al mattino mio marito lo infila nell’edificio scolastico sfruttando la fessura che ancora sfugge alla chiusura delle porte a vetro.
Sarà per questo che non sapevo.
Sarà per questo che non ho notato.
Sul ferro di cavallo di venti banchi ordinati, una fila ben composta di quadernoni: le maestre hanno rilegato, alunno per alunno, quelli della stessa materia, racchiusi in una copertina di cartoncino blu. Sopra, un riquadro bianco, nome, cognome, materia. Dopo la consegna della scheda ci dicono di prendere quelli di Patrick.
“Arrivederci.”
Altra stretta di mano, sorrisi di congratulazioni (così interpreto ignara), e fieri ce ne veniamo via col nostro malloppo sotto braccio.
Sarà per quella stessa mancanza di zelo, che quei quaderni li sfogliamo appena, poi volano rapidi nella loro nicchia: la neomensola Ikea colore del cielo, sopra la testata del letto di Patrick che, visto il peso crescente della cultura, si spera solo regga a dovere.
Ripesco solo poi, su indicazione di Signorina S., quel faldone di italiano che raccoglie tre quadernoni fitti fitti di parole e disegni.
E finalmente, al fondo, trovo questo:
Non serve interpretazione, sta volta le voci del parco non sono pettegolezzi.
Qualcuno m’illumini, per cortesia, sulla necessità di cotanta omertà.
Bando alle feste strappalacrime per una maestra che abbiamo avuto per un anno soltanto (e poi, suvvia, il primo anno di scuola, che vuoi che sia?). Bando alle formalità, alle comunicazioni per iscritto, ai verbali da firmare, controfirmare, agli avvisi in bacheca, alle riunioni di classe.
Bando a tutto, se vogliamo: ma non poteva salutarci alle pagelle? Non poteva salutare i bambini a scuola alla fine dell’anno? Non potevano dircelo alla festa di giugno (quale festa, poi: chiamasi saggio di fine anno)?
Non potevano, semplicemente, dirlo, ai bambini e ai genitori?
Ora, vista la dolcezza del soggetto, tendo a escludere che la colpa sia della maestra. Probabilmente vittima di un sistema in cui “istruzione” non fa rima con “informazione”.
D’altro canto non mi è possibile additare la Direttrice (che ama essere appellata più propriamente “Dirigente”, quasi la sua fosse un’Azienda), in quanto i pochi che ci hanno provato in passato sono stati perseguiti per diffamazione, e un gruppetto di genitori associatisi anni fa per attività varie ma innocue vennero denunciati come sovversivi.
Alla fine stiamo parlando solo di una scuola, che dovrebbe dare l’esempio. Di una scuola dove, per nove mesi di fila, senza eccezione alcuna, sono stati protratti a oltranza lavori di semplice tinteggiatura e superficiale risanamento esterno tali – pare – da impedire perpetuamente qualsiasi uscita in cortile degli alunni. Costretti in ogni stagione a passare la pausa pranzo seduti in mensa, prima, e al banco in classe, poi. Perché, evidentemente, il diritto all’istruzione è una cosa, quello ad uscire e stare all’aria aperta un’altra. Un privilegio di cui si gode anche a San Vittore, per non andar lontano, ma che qui esubera la capacità di organizzazione e flessibilità. Una scuola che risolve il problema della disciplina nei bagni eliminando il sapone. Della carta srotolata eliminando la carta. Dei lavori all’esterno, dicevo, eliminando le uscite. E delle comunicazioni “spiacevoli” riducendo al silenzio.
Diremo noi, ai bambini, che C. se ne va (spero sia una sua scelta: a lei un grazie e tutta la mia comprensione): dove la scuola non diede, il genitore provvede.
Commenti 4
Purtroppo la scuola pubblica, in Italia è anche questo. Che fare? Prova con una mail anonima alla Dirigente (che se tale fosse si comporterebbe in modo ben diverso) nella quale copi pari pari questo post (ovviamente dopo aver reso irriconoscibili i protagonisti)… Non servirà a nulla, ma almeno l’avrai fatta incazzare…
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In realtà non ricordavo (dai miei tempi) che ci fossero tanti problemi. Forse le cose erano anche molto diverse, si stava a scuola solo fino alle 12 e mezzo (tranne i pochi che facevano doposcuola). Comunque… non posso spingermi oltre perché, pare, sono una madre inopportuna.
Cara Maddalena, hai descritto con molta eleganza il clima che si respira in quella scuola. hai tutta la mia solidarietà…
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Ciao carissima… quante cose da dire! Mi spiace che mi capisci così bene, ma mal comune mezzo gaudio (o no???)