ALLORA GRAZIE
Le pesche bruceranno nel forno e si era detto: la sigaretta del dopo pranzo. Mentre i figli stendono il primo pomeriggio davanti all’Ape Maya. E invece. Serve un riassunto al dire, ai mesi venuti e già prossimi ai grembiuli.
Non lo so fare, di andare senza voltarmi un po’. Quando sei dentro nel momento come un picchetto nel mezzogiorno è tutto un punto, le ombre e i bagliori. E poi, è solo dopo, nell’imperdonabile e affabile erroneità umana, che si ripartono i filari delle luci.
Allora grazie.
Grazie è la parola che sta sulla soglia: dopo una festa, una telefonata. Dopo un viaggio quando sull’uscio l’oste ci mette in palmo la sua mano, ci dice tornate presto, venite a vedere la prossima fioritura.
E tu l’immagini disfare i letti, rifinirli col lino di lenzuola per altri corpi e altre venture. Grazie è il sussulto accanto all’arrivederci. E voi sapete che non lo metto mai in punto di frase: aspetto che ci vada da solo. E lui sa quando farlo, quando trabocca.
Allora grazie. In ordine sparso e confuso come fa il salvadanaio del cuore, al rimescolare dei passi.
Grazie a Sarah in quella maglietta blu accesa fuori dai cavalli nella sua settimana che le ho detto «solo se vuoi, amore». E la ritrovai felice, accanto a secchi di fieno impastato con l’acqua. Spiammo la tenda del circo, guardai quel nastro dell’equilibrio che le aveva sbucciato tutta la fiancata.
Grazie a quei giorni al lago che squillavate ogni volta al telefono: a quelle campane tibetane, agli alberi che avete abbracciato, alle scoperte che vi hanno a(ni)mato.
Grazie per quelle mattine che arrivate uno per volta, che Nina chiama dal letto perché annaffia di gesti banali il privilegio dell’ultima. Grazie alla piscina di quel giorno con Nina, ai bagagli, al camping in quella casa mobile che per lavarmi i denti dovevo aprire il box doccia. E grazie alla piscina qui fuori,
ai pomeriggi che dondolare nell’ozio con voi non pareva più ozio, ma amore.
Grazie a quella casa in Francia, alle sue grandi lanterne di candele e al camino, alla sua borsa appesa per i miei passi in solitaria, alle gite dove vi abbiamo implorato, trascinato, premiato con un gelato agli Smarties. Ai percorsi avventura che divertono quando li racconti, dopo, i piedi a terra e al sicuro. Alle pedalate in barca e ai cieli che non sai. E poi tengono, tengono su le nuvole e le teste, da cui le cime fanno occhiolini di meraviglia, di ghiacci, di eterno.
Grazie a quel giorno che pioveva e siamo andati in centouno negozi per un tavolo che non userò mai. Però abbiamo fatto foto e riso tra gli arredi, i ceppi di betulla a comodino, le tovaglie coi cuori spessi e rossi di tela. Grazie alle sere che voi due donnine sparivate sotto quella coperta da yeti. Ai fiotti di canna in giardino, ai letti che non erano mai riempiti dalla stessa persona perché giravamo a turno, o anche senza turno. Grazie per tutti i fiori che erano invariabilmente per me, quelli incastonati nel cruscotto e quelli che avrei ritrovato per giorni, ormai lisi, nelle tasche del pile. Grazie per le vostre smorfie, per i malcontenti perché in un tempo così breve sapete rivoltare le facce in stupori. Grazie per i maggiolini blu, e per averne catturato uno, grazie per averlo perduto, ritrovato. E grazie per averlo liberato. Grazie per i giri che ho fatto con uno solo di voi per volta. Grazie a quelle mani che cercano la mia conferma.
Grazie per certi spettacoli che sbottonano gli animi e insegnano il silenzio della contemplazione.
Grazie per la settimana improvvisata a Courmayeur, all’avventura che mi sono data, alla vostra giostra. A quelle mattine nel mio letto d’un tempo, la luce bassa e Isabelle nella stessa stanza. Alle scale su e giù per mille cose che dimentico di prendere, a quanti appelli servono per essere tutti pronti. Grazie alla vostra obbedienza, vi ho visto belli in modo nuovo, solo nostro, grandi e uniti, e io capace. Col mio pc in cucina, i disegni di Isabelle davanti, i suoi tributi, i vostri rumori,
tutte le buonanotti di cui ero la sola portatrice. Tutte le colazioni davanti ai cerali e al Bianco. I giri ripetuti per assicurarmi che la casa fosse chiusa, le mie follie indomabili, le mie tenere ossessioni.
Grazie per queste settimane. Non lo so fare, di continuare senza voltarmi un po’: se no, sarebbe come andare via senza salutare.